sabato 11 agosto 2012

In risposta alla recensione di Antonio Carioti

Sul Corriere di martedì 31 luglio è apparsa una recensione di “Indignarsi è giusto” (Mimesis 2012) molto polemica, ma soprattutto approssimativa e confusa. Ovviamente so bene che una recensione è sempre un atto di cortesia, tanto più quando viene ospitata da un autorevole quotidiano come il Corriere. Può capitare però che il giornalista, forse per la fretta o forse per allergia alle tesi con cui si confronta, tracci una sintesi fuorviante del libro che sta recensendo, polemizzando in modo irruento e “manicheo” con argomenti di cui non vi è traccia alcuna nel testo scritto. L’articolo Il fiato corto della critica “indignata” al liberismo a firma di Antonio Carioti rende irriconoscibili le tesi di fondo sostenute nel mio libro. Il saggio si propone di andare alle radici della crisi attuale ed indica nel 1979–80 una data–spartiacque della storia contemporanea. Da qui, si argomenta, inizia una “nuova grande trasformazione”, una vera e propria “rivoluzione passiva” simile per portata e per implicazioni a quella che segnò l’avvento della modernità: un fenomeno quindi in nessun modo riducibile a quella “disastrosa regressione di portata mondiale” cui, fantasiosamente, fa riferimento la recensione. Questo imponente processo di trasformazione, si aggiunge, si è differenziato radicalmente dai trent’anni precedenti, “i trent’anni d’oro” del dopoguerra, perché ha rovesciato il “paradigma dell’inclusione”: esso si è realizzato all’insegna della crescita delle disuguaglianze, in ogni singolo paese e su scala globale. Il liberismo, insomma – questa la tesi di fondo del libro - non ha frenato lo sviluppo, ma vi ha impresso quel segno radicalmente sregolato che a lungo andare ha provocato l’attuale crisi globale, la più grave dal 1929. Per quanto riguarda l’Italia il libro cerca di spiegare radici e ruolo dei populismi, nella doppia variante berlusconiana e leghista: in nessun altro paese occidentale essi hanno avuto un’intensità, una continuità e un peso paragonabili a quelli avuti nel nostro paese. In realtà, ecco il fenomeno sottolineato, liberismo e populismo si sono intrecciati profondamente: qui sta la particolarità della vicenda italiana. Entrambi i leader della destra italiana si sono fatti interpreti dell’umore generale del tempo e hanno intonato elogi sperticati al liberismo, salvo poi contraddirli con la demagogia populista. La lunga paralisi italiana va ricondotta – si sostiene nel libro - proprio alla commistione e alla sovrapposizione dei due discorsi all’interno stesso della retorica di Forza Italia e della Lega. Da qui quel mix micidiale in cui individualismo radicale e disprezzo delle regole si sono sommati alla demagogia sociale. Il risultato è stato l’ aumento della spesa pubblica e della pressione fiscale più l’indebolimento e perfino il dileggio della funzione dello stato. La recensione si conclude riconoscendo la fondatezza di alcune critiche rivolte ai meccanismi della finanza globale. Viene omesso però il punto centrale del ragionamento, ovvero la riflessione sul peso e sull’influenza di quel “pensiero unico” che ha accompagnato la lunga stagione liberista. La novità oggi sta nel fatto che il rullo compressore del pensiero unico liberista, dopo cinque anni di crisi, comincia a scricchiolare. Nel mondo si sta delineando un nuovo “pensiero critico”: esso cammina sulle gambe non di piccoli gruppi radicali, ma dei tanti che hanno verificato l’inconsistenza dell’autoregolamentazione del mercato, che non accettano più la riduzione del discorso pubblico all’economia, che cercano di riscoprire la politica e – ecco la tesi conclusiva di “indignarsi è giusto” – di ritrovare una “bussola umanistica”. Sono i fatti stessi che spingono a questa critica del pensiero unico e ad avviare la ricerca di strade nuove. Il percorso – nel libro è ampiamente sottolineato - è lungo e complesso: al momento se ne intravedono solo “tracce”. Non per questo esse meritano di essere banalizzate.

1 commento:

  1. Sul Corriere, figuriamoci, cosa potevano scrivere...

    La classe politica non ha un piano di uscita dalla crisi. Il neo liberismo (agevolato dalla vaselina del populismo, mi si perdon il lirismo) è morto, ma nessuno ha l'alternativa. Non funziona, ma non abbiamo gli intellettuali con una visione di una società altra, da lungo periodo. Viviamo tutti nel brevissimo periodo. Se produrre il comune significa organizzarsi a livello locale, attrezzarsi a gestire nei quartieri l'acqua, l'elettricità, i mezzi di trasporto, le banche stesse, allora mi dice dove sono le facoltà, le volontà, i tempi per quest'impresa? Io non li vedo. Già il reddito minimo e la Tobin tax sembrano utopie!

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