mercoledì 23 settembre 2015

Riapre la Scuola di Cultura politica

Smartweek intervista il Direttore Ferruccio Capelli 
“Idee nuove nella grande trasformazione”. E’ questo il motto con cui il prossimo 15 ottobre riaprirà i battenti la Scuola di Cultura Politica, il polo umanistico della celebre Casa della Cultura di Milano, sita in via Borgogna 3, a pochi passi dal centro del capoluogo lombardo. Un’edizione, quella di quest’anno, che si preannuncia essere più che mai fresca e coinvolgente, sia per la novità dei temi trattati, sia per le modalità con cui si terranno gli incontri.

Di questo e di molto altro noi di Smartweek abbiamo parlato con Ferruccio Capelli, direttore della Casa della Cultura, che ci ha illustrato il programma del percorso formativo e ci ha raccontato lo spirito con cui l’associazione si appresta a dare inizio a una nuova edizione.

Direttore, ci spiega brevemente cos’è la Scuola di Cultura Politica?

E’ un’idea nata circa 6 anni fa. Dalle nostre discussioni emergeva sempre la stessa criticità: la mancanza di una vera cultura politica. Così ci siamo interrogati sul fatto di proporre una riorganizzazione di idee in un modo più organico e sistematico, per scalzare la politica del giorno per giorno, che stava diventando un problema. Per questo motivo abbiamo deciso di mettere in piedi questa scuola di formazione politica, che, anno dopo anno, sta diventando sempre più un’istituzione all’interno della Casa della Cultura. A chi vuole formarsi e informarsi sulle grandi questioni del mondo, noi forniamo gli strumenti adatti.

A chi si rivolge?

E’ rivolta ai cittadini, soprattutto ai giovani. Quando l’abbiamo creata, ci siamo chiesti cosa potessero pensare gli studenti e i ragazzi, che sono coloro che hanno davanti a sé il problema di dover riorganizzare una visione di quello che sta accadendo nel mondo. A parte questo, la Scuola è aperta a tutti, perché tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di partecipare alla vita pubblica, avere idee e strumenti per fare politica attiva. Molti dei nostri frequentatori sono diventati consiglieri comunali, sindaci o lavorano in associazioni. Noi cerchiamo di fornire gli strumenti per vivere da protagonisti la vita pubblica.

Cosa c’è di nuovo rispetto alle passate edizioni?

Ci sono grosse novità. Come avrete notato dal programma, abbiamo improntato lo sguardo verso il mondo e la geopolitica. Siamo convinti di dover andare a parare verso i temi di maggior attualità: migrazioni, Europa, ecc. Nella seconda parte del programma abbiamo voluto porre un forte accento sulle nuove idee e nuove scelte. Abbiamo lavorato così tanto sulla radice della crisi negli anni passati, che in questa edizione ci siamo sentiti in dovere di mettere al centro idee nuove per imboccare strade diverse. Due pilastri: il mondo e le nuove idee e le nuove scelte. Nel programma nulla è affidato al caso. Abbiamo ricevuto un buonissimo riscontro in termini di adesioni.

di Federico Ciapparoni. Pubblicato su Smartweek.it 

martedì 30 giugno 2015

Astensionismo dilagante la grande questione


A quanto sembra ci si abitua a tutto, rapidamente. Anche ad un astensionismo record, che cresce ormai a due cifre ad ogni tornata elettorale. La prima volta accadde in occasione delle elezioni regionali siciliane: fu quella la prima occasione in cui, in un'elezione importante, si scivolò sotto la soglia del cinquanta per cento. Poi fu la volta dell'Emila Romagna: allora si toccò la soglia record del trentasette per cento dei votanti, o meglio del 63 (sessantatre!) %  di astensioni. Questa volta era nell'aria qualcosa di simile e infatti, puntualmente, la percentuale degli elettori si è fermata poco sopra il cinquanta per cento, il dieci per cento in meno rispetto alle precedenti regionali. Solo che, si sente dire, siccome era prevista, ormai non fa notizia e possiamo discutere d'altro.

Proviamo invece a ragionare seriamente. Si sente dire che l'astensionismo sarebbe fisiologico nelle democrazie mature, salvo poi non riuscire a motivare perché vi sarebbe proprio ora un'accelerazione perfino vertiginosa del fenomeno. A tutt'oggi nessuno ha osato argomentare che abbiamo improvvisamente raggiunto la maturità democratica: questo, almeno per il momento, ci è stato finora risparmiato.
Circolano altre motivazioni, indubbiamente più serie e più vicine al vero, quali il peso degli scandali a ripetizione e le divisioni interne alle varie formazioni o schieramenti politici. Ognuna di queste argomentazioni contiene una parte di verità, ma non esaurisce il problema.

Al fondo c'è qualcosa di più. Bisogna ragionare sul fatto che l'astensionismo dilaga non solo in Sicilia e in Calabria, realtà tradizionalmente con bassa affluenza elettorale, ma anche in Emilia, in Toscana, in Liguria e nelle Marche, in regioni dove non tantissimo tempo fa si recava alle urne oltre il novanta per cento degli elettori. Si astengono cittadini che prima erano orgogliosi di andare a votare: per loro il voto era un diritto e un dovere fondamentale. Se oggi questo elettorato non partecipa al voto significa che questo elettorato non si trova più rappresentato nel sistema politico.
Si tratta di una crisi grave nella nostra democrazia. Rappresentanza politica e mondi sociali non riescono più a incontrarsi, sono disallineati, si muovono su logiche non convergenti. Detto altrimenti, un pezzo grande di società non trova più propri rappresentanti nel sistema politico.

Tanti fattori, probabilmente, confluiscono qui: la caduta delle narrazioni e lo svuotamento delle identificazioni simboliche, l'assenza di chiare e profonde distinzioni tra i protagonisti politici, la cacofonia dei linguaggi pubblici sempre più urlati ma anche sempre più uguali tra di loro, l'intasamento o lo smantellamento dei canali di scorrimento tra i partiti e i corpi intermedi, la confusione e la casualità dei programmi e delle scelte ecc. Tutti fatti noti, sviluppatisi e aggravatisi in un lungo periodo di tempo, i quali, però, assommandosi e intrecciandosi gli uni agli altri, a questo punto provocano l'implosione del nostro sistema politico. Esso oggi è gravemente azzoppato: difficile pensare che in queste condizioni possa avere l'autorevolezza per impostare e affrontare le impegnative scelte che sarebbero necessarie per rimettere in movimento il paese.

Ultima considerazione, last but not least: questa crisi non tocca solo una parte del sistema politico. Essa colpisce a destra e a sinistra.  Detto altrimenti un pezzo grande della destra e un pezzo grande della sinistra non si trovano più rappresentati nel sistema politico. Il problema non si preannuncia di facile soluzione: proviamo almeno ad impostarlo con chiarezza.


Un filosofo in casa della cultura


Mercoledì prossimo, il 27 maggio, alle ore 18 ci stringeremo attorno a Fulvio Papi. Vogliamo festeggiare con lui il suo ottantacinquesimo compleanno e ringraziarlo per il lungo, ininterrotto e generoso impegno pubblico, culturale e civile.

La sua vita, lunga e intensa, si è intrecciata profondamente con quella della Casa della Cultura. Egli è stato allievo di Antonio Banfi, del grande filosofo che ha fondato questa istituzione e vi ha impresso un marchio indelebile: fu suo assistente all'Università e dopo la morte del maestro ha continuato con tenacia a valorizzarne il lascito culturale.

Fulvio Papi era ancora un ragazzo liceale quando mise piede in via Filodrammatici nella nostra prima sede. Da allora il suo rapporto con la Casa della Cultura non si è mai interrotto. Cominciò a collaborare prestissimo e, con il passare degli anni, è diventato un punto di riferimento dell'attività culturale di via Borgogna.

Negli ultimi trent'anni, raggiunta un'indiscussa autorevolezza culturale nel panorama filosofico italiano, ha animato ininterrottamente gli incontri filosofici in Casa della Cultura: per trent'anni ha curato e diretto un 'seminario ' di incontri filosofici in cui si sono confrontati i più autorevoli studiosi italiani.

Ogni giorno, per tanti anni, il suo straordinario bagaglio di competenze culturali è stato a disposizione di chi ha frequentato e ha diretto la Casa della Cultura. Le conversazioni con Papi, i suoi consigli elargiti sempre con garbo, con discrezione e con generosità, hanno arricchito più generazioni di studiosi e di operatori culturali.

Oggi Fulvio Papi si avvicina agli ottantacinque anni. A noi tutti sembra giusto raccoglierci un attimo attorno a lui per manifestargli la nostra riconoscenza. Come è giusto fare nei confronti di una persona che riconosciamo come maestro per i suoi 'oltre sessant'anni di impegno culturale e morale '.

Democrazia e innovazione


L'ultimo modulo della nostra scuola, nei due week end di metà aprile e metà maggio, affronta il rapporto tra 'democrazia e innovazione '. Nella retorica oggi dominante il problema semplicemente non esiste: l'innovazione è un valore in sé ed è altrettanto scontato che si possa integrare facilmente e felicemente con la democrazia.

Nella realtà le cose sono molto più complesse. Lo stato non brillante della nostra democrazia, su cui abbiamo approfonditamente ragionato nei moduli precedenti, è dovuto anche alle difficoltà di gestire le implicazioni delle travolgenti innovazioni tecnologiche dei nostri tempi. Si pensi, per esemplificare, ai nodi connessi al dilagante sovraccarico dell'informazione oppure, ancora, a quanto le nuove tecnologie contribuiscano a 'smontare ' i luoghi di lavoro.  Le aziende cambiano, qualcuno dice 'svaniscono ', ma con esse si modifica anche l'organizzazione del mondo del lavoro. Una struttura fondamentale della democrazia, i lavoratori che si organizzano, un corpo intermedio decisivo nelle democrazie novecentesche, sta subendo contraccolpi micidiali.

Ecco perché vogliamo ragionarne a fondo. Iniziamo venerdì 17 aprile interrogandoci sul rapporto tra innovazione e uguaglianza. Il giorno dopo discuteremo proprio del rapporto tra la democrazia e il nuovo sistema mediatico e, nel pomeriggio, sull'altrettanto controversa relazione esistente tra innovazione tecnologica e democrazia industriale. Chiudiamo questo primo gruppo di lezioni con una tavola rotonda tra studiosi e giovani operatori per esplorare le nuove strade che stanno prendendo l'innovazione culturale e la partecipazione.

A metà maggio, il venerdi 15, riprenderemo la 'scuola ' ragionando sull'impresa sociale; continueremo il giorno dopo per affrontare la questione dell' 'economia della condivisione ' e, nel pomeriggio, per ragionare sul rapporto tra 'libertà e nuove tecnologie '. L'ultima lezione, sul valore politico dell'innovazione scientifica, è spostata, per impegni internazionali del relatore, a giovedì 28 maggio.

Domenica 17 maggio non vi saranno lezioni, ma potremo sfruttare questo buco nel calendario per un incontro tra il direttore e i corsisti, per tracciare insieme un bilancio di questo anno di intenso lavoro e per ragionare sul programma per il prossimo anno.

70° della Resistenza: una celebrazione senza polemiche

Non c'è dubbio: si è trattato di una bella celebrazione del 70° della Resistenza. I media hanno dato spazio con molta generosità all'evento e la sfilata di Milano è stata una grande manifestazione popolare, ridondante di voci diverse. I giornali hanno dedicato al settantesimo ampi servizi: il Corriere ha perfino proposto un'intera collana di testi letterari della Resistenza. Le televisioni, pubbliche e private, non sono state da meno: anche Mediaset si è unita al coro e perfino Paolo Del Debbio ha dedicato alla Resistenza un'intera serata su Rete Quattro.

Qualcuno ha già notato la differenza di clima rispetto a una decina di anni fa. Allora erano fresche di stampa le pagine dell'indecente libro di Gian Paolo Pansa 'Il sangue dei vinti ' e vi era l'eco della sorprendente difesa della Repubblica di Salò da parte di uno storico come Vivarelli. Galli della Loggia dalle colonne del Corriere non si stancava di indicare nella sopravvalutazione della Resistenza la menzogna originaria della Repubblica. Le televisioni raccontavano un'altra storia rispetto a quella ascoltata in questi giorni: abbondavano di interviste ai reduci di Salò. Tante voci, con asprezza polemica, rivendicavano l'equiparazione tra partigiani e repubblichini.

La svolta è rilevante. Potremmo ipotizzare, riprendendo il titolo di un impegnativo appuntamento che avevamo costruito in Casa della Cultura in quegli anni, che si è riusciti davvero a 'revisionare il revisionismo '. Probabilmente il lavoro incessante degli storici, le nuove ricerche, gli ultimi studi usciti, le tante discussioni hanno prodotto qualche effetto. Il carattere a un tempo plurale e unitario della Resistenza italiana, la sua nobiltà che sovrasta le inesorabili brutture è finalmente chiara a tutti. E' arrivato il momento, ci dicono queste giornate, di ragionare serenamente dell'importanza della Resistenza nella fondazione e nella storia della nostra Repubblica.

Si potrebbe però avanzare anche un'altra ipotesi. Ovvero che una decina di anni fa la destra italiana aveva raggiunto l'apice del potere: al governo erano saldamente installate forze di destra indifferenti alla Resistenza e altre che non disdegnavano la rivendicazione di un filo diretto con il fascismo. Tutto congiurava a dare forza a un diffuso e aggressivo 'anti - antifascismo': la pubblicistica e i media non facevano altro che assecondare il clima politico e culturale del momento. Ora la destra è in grave crisi: le sue formazioni principali sono a rischio di sfaldamento oppure si stanno riorganizzando e ridefinendo. La molla fondamentale della virulenta campagna revisionista, ovvero la legittimazione della destra, è in questo momento ridimensionata o perfino evaporata.

Forse si potrebbe avanzare anche una terza ipotesi, ovvero che la spinta polemica si sia disinnescata a seguito dello smottamento politico e culturale della sinistra, in primis di quella ex comunista estromessa in pochi mesi quasi senza colpo ferire da ogni ruolo di direzione del paese. Alla fin fine la virulenza polemica contro la Resistenza era intimamente legata alla orgogliosa rivendicazione dei valori antifascisti da parte delle sinistre e alla loro intransigente impegno a difesa della carta costituzionale.  Nei prossimi giorni, senza proclamazioni altisonanti, si trasformerà di fatto la forma di governo introducendo un inedito e radicale presidenzialismo. In questa situazione è abbastanza evidente che la furia polemica revisionista sia svigorita alle radici.

Con ogni probabilità ognuna di queste tre ipotesi contiene qualche verità. A tutti noi, abituati ormai a ragionare con disincanto su tutte le vicende del nostro paese, restano comunque il piacere di una celebrazione senza stonature revisioniste e i suoni e i colori con cui anche in questo 25 aprile si sono manifestati i mille toni di speranza e di inquietudine del nostro antifascismo.

Un nuovo progetto della casa della cultura


La Casa della Cultura ha alle spalle un anno intenso.
Abbiamo rifatto la sede, eletto un nuovo Presidente e un nuovo Direttivo, introdotto il Consiglio Culturale. Abbiamo aperto le porte a temi nuovi, ridefinito il nostro sistema di comunicazione e stiamo anche coinvolgendo una nuova generazione di studiosi. A questo punto siamo in grado di fare un ulteriore passo in avanti.
Vogliamo trasformare il nostro sito in uno 'spazio aperto ' di discussione. Ciò che viene detto e discusso nelle nostre tante iniziative non deve più fermarsi qui, in via Borgogna.
Vogliamo mettere in circolazione le nostre proposte e le nostre elaborazioni.
Per questo abbiamo deciso di usare fino in fondo le possibilità che può dischiudere un uso intelligente della Rete. In questi medi abbiamo lanciato le 'edizioni casa della cultura' iniziando la pubblicazione di agili ebook. Abbiamo iniziato ad usare con efficacia i 'social ' - Facebook e Twitter - per informare sulla nostra attività e siamo riusciti a coinvolgere cittadini che prima non riuscivamo a raggiungere. Siamo in grado di fare arrivare ogni giorno i nostri messaggi oltre Milano: abbiamo likers in tutt'Italia. Abbiamo anche verificato, con qualche emozione, che le nostre proposte in Rete raggiungono il picco di gradimento tra i giovani, dai ventiquattro ai trentaquattro anni!
Siamo pronti ora a fare un passo in più. A chi progetta e anima le nostre discussioni chiederemo di scrivere note da inserire nel sito.
Siamo pronti anche a raccogliere spunti e articoli pubblicati altrove ma che ci appaiono meritevoli di riflessione.
Alcuni giovani amici di 'cheFare ', piattaforma online per l'innovazione culturale, sono interessati ad un'attiva collaborazione per intrecciare gli stimoli e le voci.
Insomma, scommettiamo sulla possibilità di fare interagire e confrontare i 'maestri ' attorno ai quali ruota la nostra programmazione con i giovani che si esprimono soprattutto attraverso le riviste on line e i blog.
Da tempo riflettiamo su come sta cambiando la produzione e la circolazione della cultura. Intendiamo mettere questa riflessione al centro della prossima celebrazione del nostro 'Settantesimo '. Ma siamo anche convinti che la ricerca, l'innovazione e la sperimentazione sul campo possano aiutare e stimolare la riflessione meglio di ogni altra cosa.
Per dare il segno della novità di questo progetto abbiamo voluto dare anche una veste nuova al nostro sito. Chi entrerà nel sito avrà modo di esprimere una valutazione sull'operazione, sui contenuti e anche sull'aspetto estetico. A me, in questo momento, spetta il compito di ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a progettare, innovare e realizzare il sito e tutti coloro che si stanno prodigando per riempirlo di contenuti e di idee.

mercoledì 15 ottobre 2014

Una “Scuola” di cultura politica


Fra pochi giorni, a metà ottobre, per il quinto anno consecutivo, la Casa della Cultura di Milano avvia la sua “scuola” di cultura politica. Un’operazione impegnativa in tempi in cui la politica sembra ridotta a esibizione di leader e a spettacolo mediatico, in cui la militanza politica e le stesse strutture politiche vengono “rottamate”, in cui il messaggio politico è drasticamente semplificato.
Il programma della “scuola” non prevede la presenza di leader politici ed è anche svincolato dalla cronaca e dalla piccola polemica quotidiana. E’ un invito a ragionare in profondità su quanto sta accadendo, a recuperare il senso e il gusto dei pensieri lunghi. Insomma, questa “scuola” di cultura politica oggi vuole essere ed è una vera e propria sfida culturale.

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